mercoledì 24 settembre 2014

Il Paese dei paradossi

Manifestanti, sindacati, politici di ogni fazione e cittadini di diversa estrazione sociale; oggi tutti partecipano alla controversia sul paradosso del Governo Renzi: l’abolizione dell’articolo 18. E’ bene dire che nel dibattito pubblico e nel diritto del lavoro italiano, quando si parla dell’articolo 18 si fa riferimento all'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300: "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Fondamentalmente esso sta a garanzia della tutela reale del lavoratore, prestando particolare attenzione al caso del licenziamento illegittimo (discriminatorio, effettuato senza giusta causa o senza comunicazione dei motivi).



La discussione impazza: sul web, nelle piazze, nelle aule parlamentari ed addirittura al chiuso delle segreterie di partito (ed anche all’aperto in realtà se si guarda alle dichiarazioni pubbliche della cosiddetta “minoranza PD” che chiede a gran voce ed a mezzo stampa 7 nuovi emendamenti sull’articolo); tutti sembrano aver qualcosa da dire, ognuno si schiera dalla parte dell’impiegato, del bracciante, dell’operaio, del lavoratore; ma si tratta di un paradosso vero e proprio: perché tutti ci tengono a dire la loro per tutelare quel lavoro che, a conti fatti, oggi in Italia non c’è e che nessuno fa nulla per creare.

A niente serve la retorica –se essenzialmente retorica resta- del Presidente del consiglio che ricorda, nei suoi discorsi in parlamento, di avere al centro dei suoi pensieri l’Italiano medio; fanno fantasticare le parole di Matteo Renzi piene di sogni e di speranza che ci ripetono che “L’Italia non sarà mai un paese normale, perché è un paese straordinario”, ma con i sogni e l’ottimismo –o almeno solo con quelli- non si costruisce il futuro di quel Paese straordinario che continua ad essere il fanalino di coda dell’Europa. L’Italia è il Paese della bellezza, la Nazione che la bellezza l’ha insegnata al mondo intero; ma oggi come non mai ha bisogno di ricominciare a credere in se stessa e nelle potenzialità dei suoi cittadini, soprattutto giovani, e nella cultura dell’innovazione. Bisogna essere consapevoli del proprio passato ma smetterla di vivere nel mito di ciò che è stato ed iniziare a guardare al futuro creando nuove e serie opportunità lavorative.

Sono quasi amare le esortazioni del Premier quando -in visita negli USA- incontra a cena, ospite del presidente della Stanford University  John Hennessy, i maggiori startupper italiani e chiede loro di aiutarlo: “Io cambierò l’Italia, voi pensate a cambiare il mondo” se il Mondo quegli italiani sono costretti a cambiarlo da lontano.

Beppe Severgnini nella sua rubrica, Italians, ha scritto qualche settimana fa che la generazione dei giovani italiani di oggi gli ricorda tanto quella dei giovani degli anni 60, perché ora come allora fame e freni fanno miracoli. I giovani imprenditori di oggi hanno a disposizione due maestri eccezionali: la disperazione che è comune ai loro coetanei del passato ma soprattutto hanno dalla loro un alleato del tutto nuovo e straordinario: internet. Severgnini fa l’esempio di Francesco Nazari Fusetti, casse 1987, che è fondatore di “Charity Starts” che aiuta le organizzazioni no-profit a raccogliere fondi attraverso aste di beneficenza; di Davide Dattoli che è l’inventore di “Talent Garden” o dei 5 giovani che sono fondatori di “Good Morning Italia” definita la migliore rassegna stampa in circolazione. Tutti questi ragazzi hanno in comune la creatività, il talento, la dinamicità, la capacità di reinventarsi e di inventare un lavoro da zero, perché –rimprovera l’editorialista del Corriere della Sera- non sono arrivati dove sono “grazie a leggi lungimiranti o investitori intelligenti”, ma solo con qualche risparmio e con la forza delle loro idee.

E’ questo il grosso cruccio dell’Italia, soprattutto se si parla di mercato e lavoro: non investire nelle novità, stare ferma di fronte al mondo che cambia. Si è discusso per anni di digital divide, di agenda digitale che ad oggi non è mai partita; si è sentito di digitalizzazione delle scuole che immaginano studenti con un tablet in mano ma che oggi vedono dimezzati i fondi destinati all’istruzione. Un paese che non si impegna a credere ed investire nei giovani, nel cambiamento, nella crescita vera è un Paese destinato a non avere futuro.

L’Italia non può restare imprigionata nei conservatorismi, lo ha ricordato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano rivolgendosi agli studenti presenti all’inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale: “Non c'è nulla di più gratificante e importante del dedicarsi a rendere migliore la nostra scuola, più libere e capaci di esprimersi, rafforzarsi, realizzarsi le vostre energie, la vostra intelligenza, la vostra creatività”.


Chissà, forse un giorno –se punteremo davvero sui talenti in casa nostra- non si dovrà attendere un viaggio negli USA per incontrarli e chiedergli di cambiare il mondo.

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