sabato 6 aprile 2013

Ricordo d'infanzia...

Un pranzo, un ristorante dal grande giardino nel mio Paesello in Calabria: io, mia Madre, una coppia di suoi amici e i loro figli, miei amici da sempre, amici d'infanzia...quelli che puoi non vedere per anni ma non li dimentichi mai! Una giornata come tante...si faceva spesso, quando eravamo più piccini, di mangiar fuori tutti insieme per divertirci, ridere e per poter stare all'aria aperta senza dar pensiero ai genitori che -nel giardino del ristorante- non dovevano controllarci ogni 10 minuti. 

Con noi quel giorno, seduto a capotavola, un Giornalista -mestiere che mi ha sempre affascinato e che un giorno spero possa diventare il mio-, un inviato speciale tornato in Italia dopo una delle sue "avventure" vissute sempre -forse- con un po' di paura ma con un necessario pizzico di incoscienza. Questo è il ricordo un po' sbiadito di cui -pochissimi giorni fa- ho parlato proprio al giornalista in questione; mio conterraneo, originario di un Paese vicinissimo al mio: Amedeo Ricucci.



Chissà se si ricorda di me, ho pensato; chissà se saprà darmi qualche consiglio su questa professione tanto bella e tanto complessa...un breve messaggio inviato dopo averci pensato un po' e la risposta -dalla Siria- non tarda ad arrivare.

Stamattina poi, in dormiveglia, ascolto la notizia: 4 Giornalisti Italiani fermati in Siria; poco dopo -nel TG della mattina- arrivano anche i nomi e ce n'è uno familiare.

Dalla Farnesina le notizie si rincorrono veloci; immediatamente Repubblica, Tiscali e tantissime altre testate online ci informano sulle condizioni dei quattro: sono buone, la situazione è tranquilla e sotto controllo e a breve, ci dicono, i giornalisti torneranno in Turchia.

I commenti oggi, per la strada e sui social network, sono stati tanti...un mestiere così non è facile da sostenere; il rischio è sempre alto, si sa; dopo aver vissuto sulla propria pelle a da vicino un'esperienza tragica come quella dell'uccisione del fotografo del Corriere della Sera Raffaele Ciriello dove si trova il coraggio per continuare a fare questo lavoro?

Nonappena la notizia è diventata di dominio pubblico, sono tornata sul blog di Amedeo Ricucci Ferri Vecchi e leggendo la citazione scelta in apertura ho trovato le risposte a tutti questi interrogativi ancora prima di sentirli: "Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda" (Horacio Verbitsky).

Non posso certo dire di conoscere molto bene Ricucci, posso dire però di averlo sentito nominare e di averlo nominato spesso; posso dire di averlo seguito e di seguirlo tutt'ora; di aver sempre visto in lui un innovatore, un giornalista all'avanguardia; di aver riconosciuto in lui il volto di chi -per ovvie ragioni- fa del suo mestiere la sua vita o forse della sua vita il suo mestiere e di chi, a servizio della verità, senza ascoltare le ragioni dei vincitori o dei vinti, racconta ciò che accade.

Se per qualcuno non fossero ancora chiare le ragioni della sua partenza per la Siria e del suo continuo "combattere" per la verità, copio qui un frammento di un post sul suo blog in cui le spiega perfettamente:

"Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza: sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network. Non c’è altra via per recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima, oltre che la bussola, e si dimostra sempre più incapace di intercettare le esigenze reali dei suoi ”editori di riferimento”, quelli veri, che sono i lettori o i radio-tele-spettatori, al cui servizio noi giornalisti dovremmo porci, sempre. Le tecnologie digitali offrono da questo punto di vista delle opportunità gigantesche per innervare di linfa fresca il nostro lavoro, per ridargli senso e dignità. Bastano solo un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente. Prendiamo il caso della Siria, una tragedia infinita che si consuma nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. [...] Forse, però, l’indifferenza è figlia anche della nostra incapacità di raccontare la tragedia siriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo cioè partecipe di quella tragedia. Ed è una cosa che si può fare, con le tecnologie che abbiamo a disposizione. Anzi, è una cosa che si deve fare, se si crede nel dovere della testimonianza e nel diritto all’informazione."

Amedeo, dalla Calabria e dall'Italia siamo tutti con te e con i tuoi colleghi...tieni duro, a presto!

Nessun commento:

Posta un commento